domenica 29 aprile 2012

Una crisi che viene da lontano

di Paolo Malerba

Leggiamo sull'Avanti on-line un articolo a firma Mario Zanco che bene mette in risalto l'origine della crisi e i motivi che impediscono all'Europa di uscirne, a conferma delle parole che la deputata spagnola Chacon ha pronunciato ieri in occasione del 120° anno dalla fondazione del PSI .

Dalla crisi l'Italia non uscirà da sola, dalla crisi si esce tutti insieme o tutti insieme si affoga. In Europa occorre l'internazionalismo di un partito socialista forte, di un leader europeo che sappia esprimere, attraverso l'esercizio di una politica economica comune, le esigenze sociali di cui gli europei hanno bisogno.

Ecco perché occorre che in Italia si rafforzi il PSI, perché il partito socialista italiano è l'unico in Italia che esprime una forte aspirazione internazionalista. E' l'unico partito di sinistra iscritto al Partito Socialista Europeo aderente all'Internaziomale socialista.

L'Europa ha bisogno dei socialisti, a cominciare dal voto delle prossime amministrative del 6/7 maggio!



Europa: la politica continua a latitare e delegare


I problemi dell’area euro sono problemi politici. Certo, a farli emergere è stata la crisi economica e finanziaria, ma la radice è li. Checcè se ne dica la politica è importante, è fondamentale, nelle società umane è sempre stata presente e sempre lo sarà. Tanti successi dei modelli economici sono associati a precise scelte e gestioni politiche. Si pensi al Giappone del boom che seguiva una politica industriale diretta dallo Stato, alla Cina attuale, la cui crescita si basa di un modello ” leninista-capitalista” che prima sembrava contro natura. Negli Stati Uniti d’America l’intervento dello Stato nell’indirizzo dei programmi di ricerca militare ha pesanti ricadute sullo sviluppo economico del Paese.

Tornando a noi, all’Europa, la crisi ha messo in luce la incompiutezza della costruzione di uno Stato federale basato sulla speranza che la creazione di uno spazio economico comune avrebbe “costretto” o naturalmente prodotto una vera unione politica. Come dicono gli inglesi, la crisi ha trovato l’europa con i calzoni calati, e qualcuno ne ha approfittato. La mancanza di uno Stato che eserciti appieno i propri poteri e funzioni, lascia spazio alle forze centrifughe che in periodi di crisi economica diventano dirompenti. Purtroppo i politici europei sono “piccini” direbbero i toscani, e non hanno coraggio. Questo lascia spazio a soggetti terzi, nel male ma anche nel bene. Istituzioni economiche sovranazionali la fanno da padrone, come alcune grandi banche di investimento e le agenzie di rating.
Sinora le castagne dal fuoco ai politici europei le ha tolte un “tecnocrate” cresciuto tra grandi scuole di economia, Tesoro Italiano, Goldman Sachs e Banca d’Italia: Mario Draghi. Dapprima con la iniezione di oltre un miliardo di liquidità nel sistema (prestiti alle banche europee all’1%) ha permesso all’Euro di superare il momento nero vissuto tra fine 2011 ed inizio 2012. Ora con la prolusione di mercoledì scorso di fronte al Parlamento europeo ha messo sul tavolo la parola “crescita” che sinora era stata un tabù nelle sedi ufficiali europee. La banca centrale europea (BCE) è una istituzione politica, come tutte le banche centrali, anche se i suoi esponenti non sono scelti attraverso elezioni (giova ricordare però che i banchieri centrali tedeschi sono molto più politici dei nostri). La BCE a guida Draghi ha fatto quanto in suo potere per mettere la palla davanti alla porta, ma ora tocca ai politici eletti a suffragio universale, quelli che siedono in Parlamento, buttarla dentro. Ci si perdoni l’abusato paragone calcistico, ma l’Europa è come una squadra di calcio in cui ognuno gioca per sè, e queste squadre, si sa, non vanno da nessuna parte.


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