venerdì 2 luglio 2010

Imponente manifestazione per ricordare il 30 giugno del 60


Nella foto di apertura l'ex sindaco socialista Fulvio Cerofolini sul palco delle Autorità


Nel giugno del Sessanta Genova fu scossa da un violento fremito di ribellione destinato a percorrere in breve tempo, come un vero e proprio incendio, l’Italia intera da nord a sud.

Il Movimento Sociale Italiano, alla ricerca di una propria legittimazione politica, decise di organizzare il proprio congresso nazionale nella città insignita di medaglia d’oro per la Resistenza.

A presiedere il Congresso dell’MSI era stato designato l'ex prefetto repubblichino Emanuele Basile, ritenuto dai genovesi responsabile della deportazione degli operai e degli antifascisti nei lager e al lavoro forzato nelle industrie tedesche.

Tra le tante reazioni suscitate fu memorabile il comizio del 28 giugno in Piazza della Vittoria, nel quale, infiammando le coscienze dei numerosissimi convenuti, il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini non esitò a bollare l’iniziativa come una vera e propria provocazione.

I genovesi reagirono d’istinto a quello che avvertirono come un insulto ai valori espressi dalla Resistenza: il 30 giugno venne così proclamato lo sciopero generale.

La manifestazione si svolse ordinatamente, vi parteciparono circa centomila persone per gridare il proprio deciso dissenso nei confronti del congresso neofascista e del governo Tambroni che lo aveva permesso.






Dopo il comizio finale, tenutosi ancora una volta in Piazza della Vittoria, il corteo si sciolse ma i manifestanti, ritirandosi, furono aggrediti da Reparti della Celere in Piazza De Ferrari.

Le Campagnole FIAT della polizia iniziarono un vorticoso carosello fin sotto i portici della piazza nel tentativo di investire i manifestanti, mentre gli agenti, sporgendosi dalle camionette, tentavano di colpire con i manganelli chi man mano aveva la sventura di capitare loro a tiro.



Non ci volle molto e la notizia dell’aggressione si diffuse rapidamente in città, per tutta risposta i camalli raggiunsero dal porto Piazza De Ferrari portando con loro i caratteristici ganci che usavano per arpionare i sacchi e le balle di merce e in breve fu scontro aperto.

Per motivi di ordine pubblico il prefetto di Genova desistette e decise di revocarne l’autorizzazione. Per tutta risposta il presidente del consiglio Tambroni ordinò la linea dura nei confronti di ogni manifestazione che si fosse tenuta in futuro.

L’epilogo di quell’inizio d’estate fu tragico: le proteste contro il governo si estesero in tutta Italia in un crescendo di tensione, poi la polizia cominciò a sparare ad altezza d’uomo: caddero così i primi morti tra i manifestanti.

Il 5 luglio 1960 la polizia sparò a Licata e uccise Vincenzo Napoli, di 25 anni, ferendo gravemente altri ventiquattro manifestanti.

Il 6 luglio 1960 a Roma, a Porta San Paolo, la polizia represse con una carica di cavalleria (guidata dall'olimpionico Raimondo d'Inzeo) un corteo antifascista, ferendo alcuni deputati socialisti e comunisti.

Il 7 luglio, a Reggio Emilia, durante uno sciopero proclamato dalla CGIL, la polizia uccise Afro Tondelli, 35 anni, sposato, partigiano della 76a Sap, segretario locale dell'Anpi.


Reggio Emilia 7 luglio 1960


Davanti alla chiesa di San Francesco cadde Lauro Farioli, 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bimbo. Era uscito di casa con i pantaloni corti, una camicetta rossa, le ciabatte ai piedi. Ai primi spari della polizia si mosse incredulo verso i poliziotti come per fermarli questi sparano e lo uccidono a sangue freddo.

L'operaio Marino Serri, 41 anni, partigiano della 76a brigata cadde gridando "Assassini!" in direzione della polizia, stroncato da una raffica di mitra.

Un ragazzo di 19 anni Ovidio Franchi venne colpito da un proiettile all'addome. Cercò di tenersi su, aggrappandosi a una serranda e morì. Dopo la scuola di avviamento industriale era entrato come apprendista in una piccola officina della zona. Nel frattempo frequentava il biennio serale per conseguire l'attestato di disegnatore meccanico.

Cadde sotto il piombo di stato anche Emilio Reverberi, 39 anni, operaio, licenziato perché comunista nel 1951 dalle Officine Meccaniche Reggiane, dove era entrato all'età di 14 anni. Fu garibaldino nella 144a Brigata nella zona della Val d'Enza dove svolse il ruolo di commissario politico nel distaccamento Amendola. Lasciò la moglie e i due figli.

A Palermo l’8 luglio la Celere uccise Francesco Vella, organizzatore delle leghe edili, mentre soccorreva un ragazzo colpito da un lacrimogeno, Giuseppe Malleo, Rosa La Barbera e Andrea Cangitano di 18 anni. Oltre e decine di contusi ci furono 40 persone medicate per ferite da armi da fuoco.

A Catania le forze di polizia uccisero un edile disoccupato, Salvatore Novembre. Rimasto isolato venne massacrato a manganellate e finito a colpi di pistola. Altri 7 manifestanti rimarranno feriti nella medesima occasione.

Travolto da un’ondata di sdegno popolare e non più appoggiato dall’MSI, il 9 luglio, Tambroni rassegnò le proprie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica Gronchi.


Durante la manifestazione per non dimenticare il 30 giugno del 1960, tra le bandiere che sventolavano nel lungo corteo che si è snodato tra Piazza della Vittoria e Piazza De Ferrari, sventolava quella storica della Federazione Provinciale di Genova del Partito Socialista Italiano.

Ha scritto Wanda Valli nell'edizione del primo luglio di Repubblica:

L'appuntamento è in Piazza della Vittoria, là dove il 28 giugno del 1960 Sandro Pertini tenne il discorso del bricchettu, del fiammifero e sarà proprio lui l'icona di questa giornata. I socialisti hanno portato fin qui, la bandiera che Pertini aveva a fianco quella giornata e si ritrovano in piazza con il loro segretario nazionale, Riccardo Nencini, con altre bandiere rosse con scritto "Partito Socialista". E' il giorno dell'orgoglio per loro, il rosso è il colore dominante.

Alcune belle immagini della riuscita manifestazione





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