sabato 17 marzo 2012

Elezioni Comunali di Genova 6/7 Maggio 2012


Programma della Federazione Provinciale Genovese del P.S.I.


Un velo di mistero ormai circonda il fare della Pubblica Amministrazione.
La tanto acclamata semplificazione o lo strombettato federalismo non sono riusciti ad avvicinare le istituzioni ai cittadini semmai hanno reso il tutto meno chiaro e fruibile alla comunità che nella maggior parte dei casi non conosce i propri diritti di studente, lavoratore, pensionato e soprattutto cittadino. Emblematico è il caso di molti servizi pubblici dove la parola “cittadino” è stata sostituita da quella più lusinghiera di “utente” o peggio da quella di "cliente".
Il primo passo da compiere è cambiare il Paese dandogli una cosa sola ma molto importante: la prospettiva, cioè un quadro di quello che potremmo diventare in futuro se solo cominciassimo a svoltare e fare le scelte giuste.
Un esempio per tutti: si è molto parlato della realizzazione delle aree metropolitane e dell’accorpamento, se non dell’abolizione, di molte Province e piccoli Comuni. Vogliamo che Genova diventi la prima area metropolitana ad essere realmente istituita. Il secondo passo riguarderà i Comuni, in special modo quelli dell'entroterra, al fine di soddisfare meglio la domanda dei cittadini presenti sul territorio per quei servizi che, allo stato attuale, risultano troppo onerosi.
Il PSI vuole segnare un punto di discontinuità con la politica italiana di oggi. Il nostro programma non è un assemblaggio di promesse non mantenibili o di frasi di circostanza o di costose proposte con conseguenti sanguinose operazioni di amministrazione pubblica.
Quello che si propone è una svolta politica imperniata su una merce rara, ancora non soggetta alle fluttuazioni del mercato finanziario: la forza e l’etica del cittadino. Discutere i principi, le regole e le azioni per guardare un futuro modello di vita e organizzazione politica e sociale che dia una risposta all’illusione e all’apatia nelle società del consumo diffuso in cui il diritto è diventato un lusso.
Quello che vogliamo intraprendere è un viaggio oltre le colonne d’ercole della contemporaneità. Il punto di partenza è il rilancio di un’etica socialista il cui perno è l’individuo protagonista dell’etica politica. L’insieme degli individui, attori della politica nella collettività, può conseguire un futuro se vengono governati e incentivati alla costruzione di fatti e avvenimenti valutati non più in termini di Prodotto Interno Lordo ma di Benessere Interno Lordo (B.I.L.).


La politica con la P maiuscola

Una società costruita sul B.I.L. non può che essere una società che - nel valorizzare e rispettare l’individuo e le sue aggregazioni - necessità dell’esercizio della politica nella sua più alta funzione di governo delle persone. Il B.I.L., infatti, è innanzitutto un indicatore politico. Perché solo la politica può permettere di ristabilire l’idea di benessere tramite le istanze sociali e ambientali.
La politica oggi è il concetto più lontano dall’idea del singolo organizzato per la costruzione e lo sviluppo di una comunità. Chi intraprende attività politica lo fa’ al fine di soddisfare un bisogno individuale, per promuovere nel più breve tempo possibile interessi personali.
L’impegno politico, in quanto etico e laico, deve essere concepito come organizzazione di consenso e dissenso per la definizione delle scelte e delle strategie per lo sviluppo delle potenzialità del cittadino e l'annullamento delle volontà di resistenza contro una democrazia sociale e liberale, progressista e riformatrice, capace di sviluppare l'individuo e la collettività nello spirito dell'art. 3 della Costituzione della Repubblica.
La Pubblica Amministrazione, specialmente quella locale, deve essere percepita dal cittadino come punto di forza e non di debolezza, in una funzione di tutela e non di vessazione. Le Istituzioni hanno il compito di creare i presupposti migliori per lo sviluppo delle attività e per l'assistenza del cittadino nei momenti di difficoltà. Allo stato attuale, invece, la Pubblica Amministrazione è un sistema nemico del cittadino, pronto a punire anche le distrazioni dei più deboli, ma capace di chiudere gli occhi sulle infrazioni pantagrueliche dei potenti, in attesa del varo del successivo condono che le accomodi. Per non parlare poi del sistema dell'imprenditoria privata con il denaro pubblico, che permette di spendere denaro pubblico per avere guadagno privato.
Non deve essere più concesso un solo euro di denaro pubblico che non abbia riflesso sulla comunità di riferimento. Lo scopo dell'investimento pubblico non può basarsi solo su parametri quantitativi, come deficit o P.I.L., ma deve allargare la prospettiva a parametri qualitativi come il benessere che un’attività economica porta al territorio, tenendo conto anche dell’utilità e dell'impatto sociale e ambientale dell'attività stessa.
La soluzione alternativa, infatti, non è nei tagli indiscriminati alla spesa pubblica, ma la sua razionalizzazione, finalizzata alla produttività e alla valutazione globale del risultato collettivo per tutti i ceti sociali e per tutte le categorie, dal punto di vista del risultato economico dell’investimento in diritti e servizi. Bisogna rovesciare la logica attuale dell’”intrattenimento” a tutti i costi: prima i servizi fondamentali - scuola, trasporto, sanità e sicurezza - e poi l’intrattenimento.
E anche se nel periodo non facile della congiuntura economica le sirene lanciano ogni giorno l'allarme della crisi, noi ci contrapponiamo chiedendo ai governi locali di assicurare ai cittadini quei diritti e servizi per cui sono stati eletti a governare.


Il Comune Progettista Collettivo

Un cardine della politica locale dovrebbe essere la valorizzazione della democrazia assembleare nei governi locali, con un rafforzamento delle funzioni di programmazione, progettazione e controllo, nonché di analisi e di conoscenze, delle assemblee elettive rispetto alla solitudine esclusiva del leader dell'Ente, eletto direttamente.
Questo da origine a una figura di "dominus" di giunte di tecnocrati di esclusiva nomina e totalmente dipendenti dal capo dell'esecutivo, che spesso sfugge a quella visione d'insieme che soltanto un "parlamento" e le forze politiche, culturali, sociali e sindacali possono portare a felice sintesi di blocchi sociali.
Si va, infatti, consolidando un fenomeno di "leaderato" che corrisponde a nessun partito, nessuna corrente, ma a gruppo di potere, anche tecnocratico, consolidato da staff e consulenze, nonché da filosofie di tipo privatistico.
La nostra proposta per uscire da questo stato delle cose è l’impiego di un nuovo metodo di lavoro proprio a partire dalla funzione/attività del Primo cittadino sia nella definizione del programma, sia nel procedimento di attuazione del BIL. D’altronde il Sindaco è espressione di una cittadinanza che lo elegge scegliendo l’immagine di città da lui proposta e il cui consenso elettorale, ottenuto anche
tramite il meccanismo del voto disgiunto, non può non essere basato su un consenso trasversale agli schieramenti partitici.
Bisogna tenere conto che né il programma del Sindaco, né gli assessori da lui nominati, vengono approvati dal Consiglio comunale, nei cui confronti, peraltro, il Sindaco ha una possibilità di “moral suasion” attraverso l’ipotesi di dimissioni e conseguente scioglimento del Consiglio comunale stesso. Alla luce di ciò è determinante che il Sindaco diventi l’autorità stessa garante del BIL cittadino, trasformando un programma di coalizione in statuto collettivo dell’intera cittadinanza.
Naturalmente questo diverso metodo culturale e politico, espressione del Sindaco, comporta una ristrutturazione della macchina comunale, coinvolta in quanto sistema di pubblica amministrazione, mediante l’introduzione del lavoro di gruppo a tutti i livelli di organizzazione del lavoro. L’esistenza di questa struttura/organizzazione comunale è propedeutico alla creazione di un nuovo punto di contatto fra governo locale e cittadini, un tempo garantito attraverso la mediazione dei partiti politici nelle collettività locali, attraverso la partecipazione di iscritti, militanti e simpatizzanti all’elaborazione delle problematiche di competenza dei governi locali nel campo dei servizi(servizio pubblico di trasporto, salute, mobilità, risorse culturali, orari della città).
Oggi diventa indispensabile una nuova forma di partecipazione diretta attraverso l’istituzione di Autorità di Garanzia dal basso, superando la proliferazione disperata dei Comitati, strumento di tutela del principio costituzionale dell’eguaglianza delle condizioni di partenza, requisito fondamentale per essere “cittadino di uguaglianza”: Autorità di garanzia, tutte da “inventare”, con cui si vada a realizzare un recupero di presenza e coscienza dei partiti in assoluto e a fronte dei “leaderati” e che siano espressione selezionata di liberi cittadini, sindacati di lavoratori e datori di lavoro, associazioni, ordini professionali, Università.
Oltre a questa tipologia si propone l’introduzione di Autorità di garanzia in grado di accogliere il bisogno sociale delle fasce di popolazione più deboli - poveri, anziani, bambini, animali, malati - perché prive degli strumenti economici e relazionali necessari a soddisfare anche bisogni primari. I valori a cui si dovrebbe ispirare l’Autorità di garanzia solidale sono lo sviluppo dell’equità e della solidarietà per le fasce oggi emarginate, sviluppando parallelamente il coordinamento della moltitudine di movimenti e di associazioni di volontariato presenti sul territorio, sostenendone l’attività nella ricerca dei bandi e nella presentazione dei progetti.
Per dare sostenibilità finanziaria all’attività dell’Autorità di garanzia solidale si possono impiegare,direttamente - come strutture dove ospitare i bisognosi o comunque mettere a disposizione della collettività per finalità sociali - o indirettamente - alienando parte di essi per finanziare progetti a scopo sociale -gli immobili di proprietà comunale, o comunque pubblici, oggi inutilizzati o
utilizzati parzialmente. Questa tipologia di gestione valorizzerebbe il patrimonio immobiliare dando risposta alle crescenti istanze sociali.



Un Comune per il Lavoro: un Lavoro per il Comune.

Il problema dell’occupazione è ormai dilagante in una congiuntura economica che non consente non solo la massima occupazione, ma nemmeno un ricambio generazionale dei lavoratori. Da un lato, si è allungata ulteriormente l’età pensionabile, soprattutto a fronte di un aumento della durata della vita, dall’altro non si pensa a progettare nulla per le nuove generazioni.
Bisogna di nuovo legare il concetto di lavoro a quello di dignità e a quello di persona.
Il Comune di Genova, ai sensi del proprio Statuto all’art. 3, agevola l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, con particolare attenzione ai soggetti più deboli, promuovendo la cooperazione.
Fino ad oggi le competenze maggiori in tema di lavoro sono state attribuite all’ente regionale e a quello provinciale, ma ora il Comune non può solo rimanere fermo a guardare. Occorre che la “macchina pubblica comunale” si metta in moto per prevenire gli effetti deleteri che la disoccupazione produce nella città.
Se è vero che il Comune ha poche competenze in questo tema è anche vero che attraverso i suoi servizi è costretto a colmare i vuoti che la mancanza di una vera politica del Lavoro produce.
Il Comune può e deve fungere da pungolo nei confronti degli altri enti magari attraverso un tavolo di confronto continuo con la Regione, la Provincia e perché no anche con le parti sociali, tra cui quindi associazioni di categoria e soggetti sindacali.
Certo, per attribuire al Comune un ruolo diverso in tale ambito diventa determinante la realizzazione dell’Area Metropolitana genovese, alla quale potrebbero essere trasferite le competenze ora in capo alla Provincia.
L’Area Metropolitana non potrà che avere una funzione di programmazione, di monitoraggio e perché no anche di stimolo del mondo del lavoro magari attraverso la riabilitazione del ruolo dei centri per l’impiego, rispetto al fenomeno prevalente delle Società interinali di “erogazione” del lavoro.
Si potrebbe ad esempio fin da ora cercare di capire come le agenzie interinali operino all’interno del territorio, con quali modalità e con che finalità.
Un cambiamento di rotta può essere rappresentato dall’instaurazione di un processo circolare al cui interno un lavoratore si sposta da un punto all’altro attraverso un percorso di formazione continua che crei effettivamente un sistema di crescente sapere professionale del lavoratore, che così disporrà di solide basi da cui ripartire con una nuova occupazione e con ricadute sul territorio comunale.
Ecco l’idea di fondo è sicuramente anche in questo aspetto quella di un Comune che non subisce solamente le decisioni di altri, ma che si fa promotore delle proprie idee, insomma un Comune che diventi soggetto attivo in grado non solo di sopperire ai bisogni primari del cittadino, ma che sia qualcosa in più: portavoce del cittadino presso enti a lui sovraordinati; sostegno per il cittadino in difficoltà; artefice primo e reale dei cambiamenti che più interessano tutta la popolazione Genovese.


L’impresa sociale

Finanziare in modo costruttivo il settore sociale, o terzo settore, potrebbe essere il modo per mantenere i servizi, soddisfare un bisogno e creare posti di lavoro. La condizione necessaria per uno sviluppo del settore è superare l’idea che Stato Sociale sia uguale ad assistenzialismo. L’individuo non deve essere assistito ma agevolato.
E’ vero che al momento gli Enti pubblici sono in difficoltà per via dei tagli dei fondi statali e sempre più spesso si affidano al mondo del volontariato per soddisfare una domanda crescente di servizi alla persona. Di per sé non è un fattore ostativo trovare soluzioni diverse a problematiche costanti.
Ma bisogna andare oltre creando una Governance di controllo pubblico che introduca altre realtà diverse dal volontariato, siano essi cooperative o imprese sociali.
Con questo non si intende basare il servizio sulla logica dei bilanci ma stabilire il livello qualitativo che deve essere garantito al cittadino. Uno dei modi potrebbe essere cambiare il modo di finanziare tale settore con un maggiore sforzo pianificatorio, capace di garantire il servizio dove c’è realmente il bisogno di esso, trovando le forze già presenti sul territorio in grado di soddisfare una domanda che altrimenti andrebbe disattesa.
Il settore delle cooperative ha compiuto in questi anni un percorso di crescita senza precedenti. La bassa specializzazione che una volta segnava il mondo cooperativo oggi diventa l’arma in più per soddisfare la società fluida. La capacità di risposta in tempi brevi ai cambiamenti permetterà di dare funzione e dignità a questo gruppo di lavoratori, nella convinzione, peraltro, del bisogno di
investimenti nel settore per finanziare la professionalità e per stabilizzare le forze impiegate dando continuità nel cambiamento.
I dati parlano di un terzo settore in crescita completamente contro tendenza rispetto all’andamento generale dell’economia. L’impresa sociale crea professioni sociali capaci di soddisfare bisogni sociali. Il che non vuol dire lavorare senza tenere conto del flusso monetario generato ma svincolare l’attività lavorativa e il servizio erogato dalla corsa al ricavo. Disciplinare il terzo settore e capirne le differenze permette di evolvere dal no profit al not for profit.


Una regia pubblica contro la povertà

Negli ultimi anni il lenimento della sofferenza sociale è stato affidato alla liberalità di soggetti religiosi, siano essi istituti o opere pie o gruppi di volontari.
Meritorio e nobile è l’intervento di tali organizzazioni, ma è evidente l’assenza del soggetto pubblico, che dovrebbe coordinare e indirizzare, qualora egli stesso non riuscisse a rispondere a tali esigenze in modo diretto, l’attività di questi gruppi.
Detto soggetto potrebbe interagire con soggetti privati, ONG, terzo settore, in tutte le sue articolazione, al fine di generare progetti di sviluppo e rafforzare la rete pubblica di solidarietà.
L’Integrazione sociale passerebbe così attraverso una Regia Civica Condivisa, sotto l’attento e vigile controllo e impulso della già citata Autorità di Garanzia Solidale, finalizzata al reperimento di risorse (Comunità Europea, bandi internazionali, fondazioni privati, sponsor, ecc. ) mettendo anche a disposizione – ad esempio – edifici inutilizzati nella disponibilità delle organizzazioni del terzo settore al fine di evitare esclusione sociale e costruire case famiglia, alloggi di transito, baby parking e quant’altro possa servire a dare a questa città gli spazi e le possibilità per aiutare i genovesi più in difficoltà.


La produzione di ambiente

Il PSI crede nell’importanza di ripensare l’organizzazione del territorio. Non più una struttura monocentrica, con il collasso del centro e la deriva delle periferie, ma una rete di luoghi la cui importanza è rappresentata dalle connessioni e dai collegamenti con i centri territoriali.
Questo schema comporta una progressiva decentralizzazione dei servizi a ognilivello: da quello energetico (con lo sviluppo delle energie rinnovabili) ai trasporti (con la creazione di ATO del trasporto locale), dall’istruzione ai servizi sociali.
In questo contesto anche le infrastrutture sono chiave di volta per tale riorganizzazione. Le discussioni sull’opportunità di opere quali il Terzo Valico o la Gronda della Valpolcevera sono vaneggiamenti che nulla apportano al quadro d’insieme. L’errore è nell’idea che si debba essere, a priori, pro o contro qualcosa.
L’organizzazione territoriale deve ricalcare in parte il funzionamento del WEB dove l’importanza dei centri (hub territoriali) è data dal numero e dalla qualità delle connessioni che ogni nodo della rete ha con l’esterno.
I centri di questa rete sviluppano un nuovo sistema in cui non esiste più la periferia perché tutto è centro e periferia allo stesso tempo. Un territorio così organizzato permette uno sviluppo e uno sfruttamento del territorio più omogeneo, ottimale rispetto a quelli che sono gli equilibri naturali e i carichi antropici sopportabili.
Un approccio al problema può essere trovato nella teoria dell’ecologia sociale che individua nelle municipalità il punto di partenza dell’onda verde, quale livello più vicino al cittadino. L’idea riprende nella sostanza, ampliandolo e modificandolo, il principio di sussidiarietà a cui si voleva ispirare l’Unione Europea, secondo cui i governi centrali sono necessari per l’attuazione del mutamento, finanziando anche attraverso un’imposizione fiscale di equilibrio sociale, un livello minimo che garantisca un’equità nelle condizioni di partenza. Ovviamente esso non può prescindere dal coinvolgimento del livello più basso dell’organizzazione sociale, quello da cui provengono tutti i cambiamenti.
La risposta del PSI è uno sviluppo dell'economia condotta con la filosofia del maggese: una politica economica che preveda investimenti nei diversi settori produttivi e che permetta la differenziazione
dell’economia ligure. Come in passato diverse colture hanno permesso di sopperire ai periodi di carestia, così oggi diversi settori economici attivati possono sopperire di volta in volta alla crisi o alla decrescita di un settore.
Alcuni esempi possono riguardare lo sviluppo del settore primario attraverso produzioni biologiche o con certificazione ambientale. Produzioni di nicchia che permettano allo stesso tempo il mantenimento di un territorio che frana sempre di più verso il mare.
Il settore secondario deve puntare sull’eccellenza e sulla Green Economy. L’ITT e il richiamo di imprese sul territorio che abbiano come “core business” una filiera per il riciclo dei materiali raccolti o la produzione di alta tecnologia. Questi sono i settori in cui bisogna credere per dare nuova spinta e nuova crescita occupazionale.
Diventa indispensabile la stretta connessione tra i saperi universitari e il mondo della produzione, in ambo le direzioni: sia come partecipazione dell'Università allo sviluppo tecnologico e scientifico delle aziende, sia come finalizzazione da parte del mondo dell'impresa delle ricerche in campo universitario.


Il B.I.L. e la Resilienza

Il Benessere Interno Lordo è il “fil rouge” delle tematiche esposte nei paragrafi precedenti.
Il B.I.L. non è costruito solo sulla base di indicatori economici, ma è basato su una struttura caratterizzata dai valori e dagli indicatori sociali e culturali della comunità di riferimento. Il benessere è la creazione di conoscenze che utilizzino la produzione e la tecnologia, ma non con la finalità di consumo o di mero sviluppo materiale delle stesse.
Il B.I.L. - nell’essere un indicatore statistico rigorosamente costruito (ISTAT) - è, però, un nuovo modo di organizzare la vita di una comunità per raggiungere un equilibrio e una maturità, che noi chiamiamo resilienza, frutto del momento storico e dello stato delle collettività. La logica della resilienza – come in psicologia per i singoli individui – definisce la capacità di reazione, assorbimento e adattamento di una comunità alle sollecitazioni sociali, culturali ed economiche,
senza mutarne la struttura identitaria determinata dal B.I.L.
Il B.I.L. come fatto politico non è un mero indicatore economico di produzione e di crescita come il P.I.L., ma è un sistema di governo programmatico decentrato sul territorio ed è espressione di produzione, ambiente, cultura, socialità che costituiscono lo statuto di una collettività la cui esistenza è condizionata e garantita dalla resilienza.
BIL e resilienza sono strettamente connessi, interdipendenti, poiché il B.I.L. riguarda l’aspetto politico-economico-culturale di una comunità, mentre la resilienza riguarda l’aspetto sociologicoculturale.
Senza la resilienza una società non ha la capacità di assorbire o respingere per difendere lo statuto delle collettività che è rappresentato dal B.I.L. Viceversa senza il B.I.L. la stessa Società è orfana del patto politico capace di tenerla insieme.
L’applicazione del BIL nell’amministrazione pubblica determina:

- un governo che indirizza e sviluppa il capitale umano dell’area di competenza, non come “Enti impresari” che diffondono finanziamenti a pioggia ma stimolando le energie interne alla società;

- una politica locale in cui si favorisce lo spostamento delle persone e si riduce quello delle merci, favorendo la produzione di filiera corta, aprendo e riscoprendo, anche parzialmente,attività oggi marginali come l’agricoltura e l’artigianato;

- instaurazione di rapporti commerciali basati su aree fisiche e geografiche omogenee e non sui confini amministrativi, creandosi, peraltro, un ruolo di punta di Genova nel bacino Mediterraneo, non solo come porto commerciale ma come punto di riferimento politico e culturale.

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